domenica 6 dicembre 2015

Vivaldi e la materia dei sogni


Vivaldi non ha scritto 400 concerti, ha scritto lo stesso concerto 400 volte
Igor Stravinsky

Antonio Vivaldi
Il secondo movimento del concerto op. 8 n. 3 RV 293 l'Autunno di Vivaldi è un brano veramente stranissimo per lo stile del suo autore, una composizione breve costituita di note lunghissime che può quasi passare inosservata e annoiare all'interno delle celebri Quattro Stagioni, concerti fatti prevalentemente per far emergere il violino solista, pieni di melodie e virtuosismi brillanti, con richiami didascalici ai sonetti che teoricamente li ispirano.

Ma in questo adagio, a differenza che altrove nel ciclo, il solista si aggrega ai violini primi, senza emergere, si suona tutti in sordina e non si fanno riferimenti ad animali o eventi atmosferici, bensì a qualcosa di più impalpabile e astratto: il sonno.



Fa' ch' ogn' uno tralasci e balli e canti
L' aria che temperata dà piacere,
E la Staggion ch' invita tanti e tanti
D' un dolcissimo sonno al bel godere.

È un brano visionario con una melodia inconsistente come la materia di un sogno, ed è fatto prevalentemente di successioni di accordi, quindi di armonia, quella parte del discorso musicale il cui potere occulto ci smuove in profondità senza che ce ne accorgiamo, simile al potere di quell'inconscio che muove la direzione del sogno stesso.

Le successioni armoniche sono sempre sorprendenti e i minimi e saltuari movimenti melodici sono puramente ornamentali, con la funzione specifica semmai di fuorviare ulteriormente l'orecchio sul piano armonico.

Una cosa interessantissima avviene proprio all'inizio, quando gli archi suonano una sola nota per volta di un accordo che si manifesta, si rivela poco alla volta, come terzo rivolto di una settima di terza specie, cioè assolutamente NON l'accordo di tonica, bensì un accordo con numerazione 2-4-6 che appare armonizzandosi gradualmente al contrario, 6-4-2.


(In molte incisioni i continuisti armonizzano ogni battuta con numerazioni normali, ossia 3-5/3-6/4-6, in modo corretto, ma discutibile in questo caso, poiché tendono ad annullare l'ambiguità che vorrebbe invece dominare da subito la pagina; si ascolti per esempio l'esecuzione di Ottavio Dantone, che molto saggiamente fa eseguire al clavicembalo la sola nota indicata dalla numerazione, senza quindi suonare mai il 3, la terza, cioè il FA.)
Ogni nota che "appare" potrebbe essere il basso reale, ma in realtà non dimostra mai di esserlo, finchè non si arriva a sentire il MI (la tonica del brano è RE ovviamente).

Gli accordi dissonanti sono prevalentemente di due tipi:

- settima diminuita, accordo tesissimo per le quinte diminuite al suo interno, e allo stesso tempo ambiguo, costituito come dire da quattro sensibili contemporanee che possono quindi dirigere ognuna per enarmonia in quattro tonalità diverse, anzi otto, moltiplicate infatti dai due modi maggiore e minore; qui in genere Vivaldi le fa risolvere su un'altra settima diminuita o più spesso accordi maggiori invece che minori cui aggiunge la settima al basso come nell'accordo di cui si parla a seguire.

- terzo rivolto di settima (qui in genere settima di dominante) con la tipica numerazione 2-4-6, accordo di estrema sospensione, poichè dissonante e necessitante quindi di risoluzione, in più rivoltato, cioè senza il basso reale dell'accordo, quindi sospeso per natura, e ancora "terzo" rivolto, quindi massimamente sospeso, poichè non solo mancante al basso del basso reale, ma costruito proprio sulla dissonanza al basso stesso, la settima, che chiederà per forza di scendere per risolversi, e scenderà per forza su un nuovo rivolto, quindi su un nuovo accordo sospeso (a parte le battute 8-9 all'inizio dove ci sono due accordi di questo tipo sorprendentemente in successione).

Tutti gli accordi non risolvono mai su accordi consonanti in stato fondamentale (3-5) (tranne alla fine) e solo in tre casi ci sono accordi in primo rivolto 3-6, sempre a risolvere i terzi rivolti di settima.

La particolarità che emerge chiaramente è la costante e non completa risoluzione degli accordi dissonanti, ossia, spesso laddove la nota dissonante di un accordo risolve sulla sua effettiva nota di risoluzione, le altre note, in particolare il basso, si dirigono su note che creano un nuovo accordo dissonante tutto da risolvere a sua volta.

Ogni battuta delude, anzi meglio elude i desideri o le più normali aspettative dell'orecchio, oppure le soddisfa solo parzialmente, e anche in questo caso solo a livello superficiale, poiché i livelli più profondi, la natura stessa degli accordi e le loro successioni, sembrano controllati e gestiti da "altro", spesso gli abbellimenti melodici anticipano una risoluzione, che poi puntualmente non avviene come ci si aspetterebbe, illudono sulla direzione armonica, poiché il basso, la voce più nascosta, ogni volta prende una nuova inaspettata direzione: mentre gli acuti, una sorta di "parte cosciente", cercano risoluzioni, il basso, una specie di subconscio, porta da altre parti, e rivela altre verità.

Nel finale, ad accentuare questa atmosfera di "sospensione della coscienza" troviamo un lunghissimo pedale di dominante sul LA (15 battute), su cui si conclude il brano senza dunque risolvere sulla tonica RE, una tonica, una risoluzione di cui non si sente più il bisogno, dopo una tale ubriacatura di dissonanze.

Come descrive il sonno questo Vivaldi?
Gli accordi consonanti in stato fondamentale (3-5) per un musicista sono paragonabili alla morte, perchè sono conclusivi, scontati, e il sonno non può essere morte, fine, deve essere o apparire come qualcosa di apparentemente statico, perciò Vivaldi usa i valori lunghi delle note, e allo stesso tempo dinamico, cioè vivo, e pieno quindi di sogni, luci, piaceri o fastidi imprevedibili, e a questo corrispondono gli accordi dissonanti del brano.

Vivaldi un secolo prima dei romantici (penso allo Schumann di Traumerei, o al Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn, o ancora al Sogno di una notte di Sabba di Berlioz) e quasi due secoli prima di Freud, più che rappresentare dall'esterno l'esperienza del sonno o descrivere dei dormienti ubriachi in autunno del sonetto, sembra volerci raccontare un'esperienza vissuta direttamente, dall'interno, in modo non didascalico, della parte più viva del sonno, il sogno appunto, un mondo in cui avvengono cose continuamente inaspettate, totalmente imprevedibili, apparentemente normali nel loro contesto, nonché scevre da un qualsivoglia controllo da parte della razionalità, (men che meno della razionalità di una architettura musicale basata su una melodia cantabile,) forse appena distorte dai fumi dell'alcool.

Vivaldi, a conferma ulteriore dell'importanza che lui stesso dava a questo brano e al suo significato armonico, lo riutilizza, tagliando alcune battute, nel concerto per flauto op. 10 n. 2 RV 439, detto La Notte, al quinto movimento detto Il Sonno appunto. (Ma qui la presenza di un flauto solista, con un timbro così diverso da quello degli strumenti ad arco, quindi più protagonista, fa perdere gran parte dell'effetto descrittivo dell'aspetto onirico del sonno).

(Il sonno si sente al min. 5:03)

Shakespeare scriveva che siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni, ma quale materia dunque? Ecco Vivaldi, laddove mancherebbero le parole per spiegarlo, riesce a raccontarlo con la musica, dicendoci quindi qualcosa di più su noi stessi.

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