domenica 5 ottobre 2014

Addio, mascherine.

"Addio, mascherine!" rispose il burattino. "Mi avete ingannato una volta, e ora non mi ripigliate più."
"Credilo, Pinocchio, che oggi siamo poveri e disgraziati davvero!". "Davvero!" ripeté il Gatto.
"Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi del proverbio che dice: "I quattrini rubati non fanno mai frutto". Addio, mascherine!"
"Abbi compassione di noi!...". "Di noi!..."
"Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: "La farina del diavolo va tutta in crusca"."
"Non ci abbandonare!...". "...are!" ripeté il Gatto.
"Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: "Chi ruba il mantello al suo prossimo, per il solito muore senza camicia"."
(C. Collodi, Pinocchio, cap. XXVI)

In tempi di riflessione sul mondo della scuola da parte del governo e della collettività con metodi più o meno discutibili per la loro efficacia o sensatezza, ho rivisto il Pinocchio di Carmelo Bene.

La rappresentazione ribalta completamente i punti di vista del libro di Collodi, anche in modo provocatorio, com'è quasi normale aspettarsi da quest'attore.


L'ambientazione. Tutto è ambientato in un'aula scolastica. Un luogo che Pinocchio rifugge decisamente per tutto il libro, ma nello spettacolo Bene invece incatena letteralmente il protagonista ad un banco, evidentemente a rappresentare la società stessa che circonda Pinocchio (e tutti noi?), una società in cui tutti vogliono insegnare, tutti la sanno più lunga di Pinocchio e del suo istinto, che lo porta per la verità spesso quasi alla rovina se non proprio alla morte, ma che gli fa fare immancabilmente esperienza del Male e dell'egoismo altrui, che pure in questo mondo c'è, e Bene sembra volerci dire che è ipocrita evitare sistematicamente di farci i conti.
(In questa rappresentazione c'è inevitabilmente in Bene anche una riflessione sul teatro, anch'esso un ambiente pieno di maestri o presunti tali dai quali egli e il suo teatro sempre si son tenuti lontani.)

I personaggi. Conseguentemente tutti i personaggi dello spettacolo, a differenza proprio di Pinocchio, sono marionette, ribaltando l'idea del romanzo che vuole che la marionetta inconsapevole e ignorante Pinocchio, in balia di furfanti e imbroglioni vari, si evolva allo stato umano solo nel finale, quando avrà imparato, andando a scuola. I personaggi sono marionette poiché tutti sono come pilotati da volontà altre che non le proprie, tutti hanno istinti e autenticità represse dalle imposizioni sociali o da indottrinamenti di varia origine, tutti hanno la testa piena di luoghi comuni da elargire al prossimo per evitargli la rovina.

La dizione. Ascoltare la voce di Bene che recita è sempre un'esperienza molto forte e diventa difficile in seguito apprezzare pienamente letture di Pinocchio di altri, magari anche integrali (va ascoltato il pur notevole audiolibro di Paolo Poli per esempio). Nelle lettura-recitazione del testo, Bene sembra inglobare la lezione che gli viene dalla lettura di Joyce, quel flusso di coscienza (con conseguente elusione della punteggiatura) che è esperienza diversa dal ragionamento ordinato e sistematico, e frutto talvolta di condizionamenti esterni oltre che di pulsioni interiori, ai quali un ragazzo è più vulnerabile evidentemente, e penso alla musica del teatro dei burattini di Mangiafuoco o al carro per il paese dei Balocchi, che distolgono immediatamente Pinocchio dai suoi buoni propositi troppo "umanamente" fragili.

Finale. Alla fine Pinocchio impara a leggere la sua storia da un libro, la racconta a Geppetto, ma il prezzo di questa educazione che tutti vogliono per lui in modo conformistico è molto alto: la perdita di autenticità…
Addirittura si arriva al paradosso che Pinocchio guida la mano di Geppetto nella lettura della storia del padre-falegname stesso, come per farlo uscire dal suo stato di marionetta inconsapevole.

Il finale di Bene è geniale, poiché fa finire la storia prima del libro: Pinocchio, dopo essere andato a scuola riesce a difendersi dal Gatto e dalla Volpe, che però non lo vogliono più imbrogliare, gli chiedono esplicitamente l'elemosina, ma lui con il suo sguardo fisso nel vuoto, alienato dall'educazione, non dimostra alcuna pietà nei loro confronti e risponde con dei motti che sanno chiaramente di luogo comune, e che lo fanno apparire meno umano, tragicamente marionetta anche lui, nonostante la perdita del naso.

Nel togliersi il naso, il viso di Bene cambia completamente, diventa triste, senza più smorfie, ma perso, come a rappresentare non un passaggio ad un'età adulta e più consapevole, ma una perdita dell'innocenza e dell'autenticità di un approccio originale alla vita, un approccio che ora deve fare i conti con le vite, le libertà, e anche gli egoismi degli altri, o in generale più semplicemente con le loro storie, quelle del presente contingente da interpretare nella sua complessità e quelle di un passato che si deve conoscere, proprio per comprendere la complessità dell'odierno.

E quelli che per Collodi nell'Ottocento erano motti di saggezza, (addio mascherine ecc. ecc.,) per Carmelo bene diventano una nauseante litania di luoghi comuni su cui lo spettacolo può concludersi in modo non edificante come nel romanzo, bensì con la "disfatta umana" di Pinocchio, su cui il libro si può anche chiudere senza più continuare a leggere, poiché pare perdere di interesse, non sembra più sincero.

La chiusura finale del libro è una rappresentazione di morte, poiché forse una vita condotta esclusivamente in questo modo è svuotata di senso.

La domanda che lascia questa rappresentazione è: viene prima la propria esistenza nella sua unicità, con tutti i rischi di cadere nell'egoismo, o prima la Storia, la Società, gli altri, con il rischio di smarrire la propria identità?




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